Ho trovato il dramma di Samuel Beckett molto interessante poichè mi ha spinto a fare parecchie riflessioni.
Che senso ha la mia vita? Che senso ho io? Che cosa devo fare? Servo a qualcosa?
Sono domande che ci poniamo spesso. Io per prima. Vivo di queste domande, vivo di pensieri, vivo di ragionamenti e riflessioni. Non si può vivere in modo superficiale. Prima o poi tutti si porranno una domanda di questo genere, una domanda per la quale risposta non si può chiedere aiuto ad Internet. Puoi affidarti soltanto a te stesso. Queste sono alcune delle domande che ci portano alla ricerca del nostro "io", a lasciare per un attimo la dimensione reale e a rifugiarci nel nostro tempio dei pensieri, in un luogo tranquillo dove nessuno si possa intromettere, dove il dialogo è tra noi e il nostro "io". Dove il dialogo è privato.
Ad un certo punto del dialogo si arriva a farsi questa domanda: che cosa o chi sto aspettando e quando arriva? E la risposta è: aspetto qualcosa o qualcuno che dia un senso alla mia vita, un senso alla mia esistenza. Quel qualcosa o quel qualcuno che dia una svolta alla nostra vita, che ci pare monotona e la faccia diventare migliore. Per alcuni è Dio, per alcuni la famiglia, per altri gli amici e i fidanzati, per altri ancora il lavoro. Sono molti e differenti i nostri Godot. Ogni persona ha una propria vita, ed ogni vita ha un proprio senso, il quale è un aiuto. L'aiuto di cui abbiamo veramente bisogno. Se avete notato, questo aiuto, molti di noi lo chiedono a persone con le quali non abbiamo rapporti fisici, reali. Ad esempio, io lo chiedo spesso a Dio. Quante volte piango, sfinita, stufa che tutto vada storto. Mi chiudo in bagno e piango, trattenendo il respiro per non farmi sentire, non facendomi scappare neanche un singhiozzo, ma lasciando sfogare il mio cuore e la mia mente; e i miei occhi piangere come non mai. E' un momento intimo in cui io, il mio "io" e Dio siamo stretti stretti, vicini vicini, e parliamo senza usare parole, soltanto attraverso pensieri. Ed è fantastico anche se fa male. E' un dolore atroce ma necessario. Libero mente, cuore e corpo. Gli racconto tutto, gli chiedo tutto, senza paure, senza freni. Sono una cascata di domande che escono dalla mia mente una dopo l'altra, alla velocità della luce e nessuno le può fermare. Ogni volta che ne esce una, fa sempre più male ma mi sento sempre meglio, sempre più leggera. Parto da una cosa che mi è andata storta ed inizio a tartassare la mia testa e Lui. Via! Una dietro l'altra! Senza pietà! Io voglio una risposta, voglio un aiuto, voglio smettere di stare così, voglio ciò che mi renda finalmente realmente contenta. Ma la risposta ancora non arriva. "Dai Desy, continua fare domande, vedrai che ti sentirai meglio, anche se adesso fa male". Ripeto a me stessa.
Ancora non so di preciso chi sia il mio Godot. In realtà, credo di averne più di uno. Perchè l'uomo è insaziabile. L'uomo non si accontenta mai. Vuole una cosa, la ottiene e poi ne vuole un'altra. Ad esempio adesso, in questo esatto momento, il mio Godot è la libertà. Una valore che è in parte un diritto e in parte un privilegio. E quando otterrò questa libertà, sentirò il bisogno di qualcosa d'altro ed ecco che qui spunterà un nuovo Godot.
E se il nostro Godot non dovesse arrivare come appunto accade nel testo di Samuel Beckett?
Non basta desiderare una cosa, bisogna lottare per ottenerla. Se un bambino desidera una caramella ma non fa niente per poterla avere come ad esempio fare il bravo ed obbedire a mamma e papà, non la avrà. Io credo nella dimensione del sogno e credo che sognare sia necessario e bellissimo, ma credo anche che non bisogna starsene ad aspettare con le mani in mano a girarsi i pollici come i due mendicanti del dramma; credo sia necessario rimboccarsi le maniche, darsi da fare e lottare per ciò che stiamo aspettando.
Desiree Fugazzola
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